Incontro del 13 giugno
Carissima Rut, avrei voluto scriverti in ben altra circostanza. Per approfondire, ad esempio, le ragioni di quell’universalismo della salvezza che hanno indotto Dio a includere anche te, unica straniera, nell’albero della genealogia ebraica di Gesù. (…) Ti scrivo, invece, perché voglio sfogare con qualcuno la tristezza che mi devasta l’anima in questi giorni, alla vista di tanti stranieri che hanno invaso l’Italia, e verso i quali la nostra civiltà, che a parole si proclama multirazziale, multiculturale, multietnica, multireligiosa e multinonsochè non riesce ancora a dare accoglienze che abbiano sapore di umanità.
So bene che il problema dell’immigrazione richiede molta avvedutezza e merita risposte meno ingenue di quelle fornite da un romantico altruismo. Capisco anche le “buone ragioni” dei miei concittadini che temono chi sa quali destabilizzazioni negli assetti consolidati del loro sistema di vita. Ma mi lascia sovrappensiero il fatto che si stenti a capire le “buone ragioni” dei poveri allo sbando e che in questo esodo biblico non si riesca ancora a scorgere l’inquietante malessere di un mondo oppresso dall’ingiustizia e dalla miseria. Tu mi sembri, allora, l’interlocutrice più adatta delle mie confidenze, dal momento che, avendo coniugato il verbo accogliere non solo nella forma attiva ma anche nella forma passiva, hai sperimentato la durezza dell’emigrazione nella duplice fase: l’esilio in patria e la ghettizzazione in terra straniera. (…) Vivevi spensierata sulle alture di Moab, al di là del mar Morto, cullando sogni e parlando d’amore con le tue compagne, quando un giorno arrivò nel tuo paese una famiglia di spiantati. Erano stranieri, provenienti dalla terra di Canaan, colpita in quegli anni da una terribile carestia. Ti impressionò subito la carnagione bruna dei due figli. Uno dei quali si accorse di te. Ma tu eri ancora ragazzina. Tanto ragazzina, che il cuore si mise a battere di paura quando egli, con i gesti più che con le parole, venne dai tuoi genitori a chiederti come sposa. Non so se in casa quel giorno accaddero scenate. Ma c’è da supporre che ti rinfacciarono tutta la loro disapprovazione. Che eri il disonore della famiglia. Che non ti avrebbero più riconosciuta come figlia. E che era un infamia girar le spalle tutt’una volta alla propria tradizione, alla propria lingua, alle proprie divinità, per correr dietro a una maledetto sconosciuto. (…) Io, invece, penso che nelle pieghe della tua avventura possiamo leggere il giudizio di Dio su questa impressionante transumanza di gente alla deriva. La tua storia, insomma, ci interpella non solo con la forza esemplare del paradigma, ma anche con la sollecitazione di risposte intelligenti di fronte al fenomeno della presenza degli stranieri nel nostro territorio. (…) La tua storia ci provoca a vincere gli istinti xenofobi che ci dormono dentro. Che si ammantano di ragioni patriottiche. Che scatenano all’interno delle nostre raffinatissime città, inqualificabili atteggiamenti di rifiuto, di discriminazione, di violenza, di razzismo. E che implorano dalle istituzioni con martellante coralità, rigorosi provvedimenti di forza. Siamo vittime di un’insopportabile prudenza, e scorgiamo sempre angoscianti minacce dietro l’angolo. (…) Grazie, dolcissima Rut, per questo tuo incredibile messaggio di universalità.
don Tonino, vescovo – Luglio 1991
Il foglietto: Parte A Parte B
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